PIEDE TORTO CONGENITO

PIEDE TORTO CONGENITO

La metodica di Ponseti, il trattamento funzionale, la liberazione postero-mediale

Il piede torto è una delle deformità congenite più frequenti e consiste in una deformità del piede non riducibile (cioè la posizione non può essere completamente corretta con le mani) che porta il piede in equinismo (la caviglia non può essere portata in flessione dorsale), varismo (il tallone, visto da dietro, è deviato verso l’interno) e adduzione (il piede, visto da sotto, curva verso l’interno).

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Le cause, nella maggior parte dei casi, non sono conosciute (per cui il piede torto è definito idiopatico). Si tratta comunque di una patologia multifattoriale in cui concorrono fattori ambientali e genetici; interessanti studi stanno indagando l’influenza di differenti alterazioni genetiche sullo sviluppo del piede.

La deformità si sviluppa comunque nei primi mesi di gravidanza (intorno al 3° mese) e non è dovuta a una compressione del piede da parte delle pareti uterine nell’ultimo periodo della gravidanza. In una grande percentuale di casi, la diagnosi può essere eseguita già nel corso dell’ecografia morfologica.
In qualche caso, il piede torto è invece associato ad altre problematiche o rientra nell’ambito di un quadro più generale (per cui il piede torto è definito secondario): mielomeningocele, artrogriposi, ipoplasia, patologie neuromuscolari, sindrome da briglie amniotiche, quadri sindromici vari, ecc. È importante tenere in considerazione questi possibili quadri associati, sia nel corso delle valutazioni in gravidanza, che alla nascita, che nel corso della crescita del paziente.

La valutazione iniziale, la diagnosi differenziale, la classificazione

La valutazione iniziale del piccolo paziente deve rispondere ad alcuni quesiti a cui non è possibile rispondere completamente in gravidanza.
Innanzitutto, è davvero un piede torto?
Esistono infatti casi di falsi positivi, cioè casi in cui sia stata posta diagnosi di piede torto in gravidanza, che poi si rivelano piedi del tutto normali alla nascita. Il medico ortopedico dovrà poi differenziare tra piede torto vero e malposizione del piede.
Visivamente i due quadri possono sembrare simili, ma nel primo caso la deformità si sviluppa nel primo periodo della gravidanza e si struttura (non è quindi riducibile), nel secondo caso invece le ossa si sono sviluppate regolarmente nel primo periodo di gravidanza ma vengono spinte verso la deformità da una posizione costretta nella fase finale della gravidanza stessa: in questo caso è possibile ridurre la deformità manualmente e il trattamento e la prognosi saranno molto meno impegnativi che nel primo caso.
La diagnosi differenziale: spesso si usa il termine piede torto in maniera ambigua, facendo rientrare nella categoria piede torto in senso lato diverse entità in cui il piede assume una posizione scorretta alla nascita, ma che comportano prognosi e trattamenti completamente differenti; questo genera nelle famiglie molta confusione.
Il piede torto a cui ci si riferisce in questa scheda, è propriamente detto piede equino-varo-addotto-supinato (o EVS).
Per altre forme di piede torto in senso lato (metatarso varo, piede varo, piede talo-valgo, piede reflesso) si rimanda ad altre schede informative.
La gravità. Nel corso della valutazione iniziale il medico valuterà la gravità della situazione e analizzerà tutte le componenti che costituiscono la deformità. Per comodità, vengono utilizzate alcune scale di valutazione riconosciute a livello internazionale.
Generalmente utilizziamo la scala di Pirani (da 0 a 6, dove 6 è il piede più deformato) e la scala di Dimeglio (da 0 a 20, dove 20 è il piede più deformato).
Queste scale prendono in considerazione alcuni aspetti morfologici (ad esempio, la presenza di pliche cutanee o la curvatura del bordo esterno del piede) e la correggibilità del piede, cioè quanto è possibile correggere la deformità con le mani. È questo elemento infatti che differenzia piedi che apparentemente possono sembrare simili.

Il medico ortopedico valuterà poi altri aspetti, fondamentali ai fini della prognosi: la rigidità, la funzione muscolare, o gli aspetti caratteristici di un piede torto atipico.
Con questo termine ci si riferisce a piedi con aspetto tozzo, corto, tendenzialmente più rigidi, in cui è presente una maggiore curvatura verso il basso nella parte centrale del piede (equinismo metatarsale), spesso con profonde pliche cutanee. Si tratta di piedi in cui le difficoltà del trattamento aumentano, che richiedono spesso un maggior numero di gessi e che hanno una maggior tendenza a sfilare i gessi. A volte il piede si rivela come atipico a seguito di un trattamento iniziale in cui i gessi si sono sfilati per cui il piede ha cambiato morfologia.

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Nel nostro ospedale, figure professionali di formazione differente con esperienza sia nella patologia del piede torto che nelle varie possibilità terapeutiche (metodo Ponseti, trattamento funzionale, chirurgia) si sono unite e si confrontano quotidianamente per ottimizzare i risultati.
Il metodo generalmente consigliato è il metodo Ponseti, che ha dimostrato negli anni i risultati migliori e che da qualche anno è considerato in tutto il mondo il trattamento di prima scelta.

Il metodo Ponseti

Il metodo Ponseti è stato ideato dal dottor Ignacio Ponseti (1914-2009) e ha come principio fondamentale la correzione progressiva della deformità senza ricorrere alla chirurgia invasiva (caratteristica della liberazione postero-mediale) e senza necessità di trattamenti fisioterapici continui (caratteristici del metodo funzionale).
Il trattamento si articola in più fasi:

  • Correzione. La correzione avviene rapidamente, mediante una serie di apparecchi gessati a correzione progressiva (a cadenza settimanale), in cui la punta del piede viene portata gradualmente verso l’esterno.
  • Tenotomia del tendine di Achille. Si effettua (per i casi che lo richiedono si veda oltre) la tenotomia percutanea del tendine di Achille, cioè una procedura chirurgica di lieve entità (cicatrice minima, 2-3 mm) per correggere l’equinismo
  • Mantenimento della correzione. A questo punto la correzione della deformità è stata raggiunta, ma considerata la notevole tendenza alla recidiva (cioè a ritornare come all’inizio), i piedi devono essere mantenuti per un lungo periodo in posizione corretta mediante un tutore, il tutore in abduzione, e controllati periodicamente.

Vediamo le tre fasi più nel dettaglio.

La correzione
A seguito della valutazione iniziale viene avviato il trattamento, che consiste in una serie di sedute in cui vengono valutati la deformità e i miglioramenti ottenuti di volta in volta, vengono fatte le manipolazioni correttive e il piede viene ingessato nella posizione desiderata.
Le manipolazioni durano da qualche secondo a qualche minuto a seconda dei casi, non sono dolorose e consentono uno stretching delle strutture.
Vengono poi confezionati i gessi, i quali devono essere lunghi dalla radice della coscia fino alle dita; il ginocchio viene posizionato a un angolo di 90 gradi circa. Le dita rimangono visibili, in modo da poterne effettuare il controllo. La posizione di immobilizzazione viene decisa dall’operatore in base alla correggibilità del piede (non è una posizione forzata) e in base ai principi di correzione dettati dalla metodica stessa.

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Dopo qualche giorno (la tecnica originale prevedeva un cambio del gesso ogni 7 giorni, ma sono stati descritti protocolli con cambi anche più ravvicinati) il gesso viene rimosso (la rimozione non deve essere effettuata la sera prima, ma contestualmente alla visita) e la procedura viene ripetuta. Nel corso dei giorni trascorsi in gesso, le strutture del piede (ossa, articolazioni, legamenti, ecc.) si abituano alla nuova posizione e si rilassano, così che una volta rimosso il gesso si ha la possibilità di spingere il piede verso una posizione più corretta. In questo modo, di seduta in seduta, la punta del piede viene spinta sempre più verso l’esterno.
Il numero di gessi necessari per raggiungere la correzione è piuttosto variabile e dipende da vari fattori (quali rigidità e gravità). Possono essere necessari da due gessi, per i casi più lievi, a sette/otto gessi per quelli più gravi.

La tenotomia del tendine di Achille
Nel corso della manipolazioni e del confezionamento degli apparecchi gessati, il piede viene ruotato verso l’esterno, ma non viene mai forzata la correzione dell’equinismo. L’equinismo (cioè il fatto di non riuscire a portare la caviglia verso l’alto) è in massima parte legato all’accorciamento del tendine di Achille (una corda tendinea la cui tensione si apprezza nella parte posteriore della caviglia e che si inserisce sul calcagno). Se nelle manipolazioni si cerca di correggere l’equinismo contrastando il tendine di Achille, si corre il rischio di deformare e schiacciare le ossa del piede, che in questa fase sono in gran parte cartilaginee e quindi deformabili. Perciò, i gessi vengono confezionati sempre con la punta del piede mantenuta verso il basso.
Per correggere l’equinismo è quindi necessario, una volta effettuata la correzione delle altre deformità e come passo finale della correzione, effettuare la tenotomia percutanea del tendine di Achille: un intervento chirurgico di lieve entità, in cui per via percutanea (cioè non si effettua una vera incisione per visualizzare il tendine, ma si inserisce il bisturi e lo si ruota) e lasciando solo una piccola cicatrice (2-3 mm) si seziona completamente il tendine di Achille (che cicatrizzerà spontaneamente senza bisogno di sutura), eliminando così l’ostacolo finale alla correzione dell’equinismo. Si ottiene così la possibilità di portare il piede verso l’alto senza rischio di deformarne le ossa.

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La procedura, a seconda dei centri, può essere effettuata in anestesia locale o generale. Esiste ampio dibattito a livello mondiale sull’argomento, e ognuno dei due modi di operare ha i suoi vantaggi e svantaggi.
Nei giorni successivi (circa 20 giorni) il piede viene nuovamente immobilizzato in un apparecchio gessato per consentire al tendine di Achille di cicatrizzare.
La tenotomia viene effettuata all’incirca nel 70-80% dei piedi. In alcuni casi infatti, man mano che vengono corrette le altre componenti della deformità (rotazione, varismo, adduzione, ecc.), si assiste al progressivo rilassarsi delle strutture posteriori (tendine di Achille, tricipite, ecc.), tanto che non è necessario procedere con l’intervento chirurgico.
La decisione se effettuare o meno l’intervento chirurgico non deve essere presa all’inizio del trattamento ma solo una volta corrette le altre deformità; a tal fine vengono presi in considerazione diversi aspetti clinici (come flessione dorsale della caviglia e pliche posteriori) e, nel caso in cui rimanga qualche dubbio, si fa una radiografia per visualizzare direttamente i rapporti tra le varie ossa del piede.

 

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Il mantenimento della correzione
Una volta rimosso il gesso confezionato in sala operatoria, il piede appare completamente corretto. Da questo momento in poi sarà fondamentale mantenere la correzione ottenuta.
Per farlo occorre far indossare al piccolo paziente un tutore, detto tutore in abduzione, costituito da due scarpine raccordate tra loro da una barra, che tiene i piedi ruotati verso l’esterno. Esistono diversi modelli di tutore di questo tipo, alcuni più confortevoli e facili da gestire, altri meno, ma che si basano tutti sullo stesso principio. Il tutore non cambia nemmeno quando un solo piede è colpito dalla patologia, la sola differenza è che il piede sano viene mantenuto meno ruotato verso l’esterno rispetto al piede affetto. Generalmente la rotazione applicata è di 60°-60° nei casi di piede torto bilaterale e di 30°-70° nei casi di piede torto monolaterale, ma il medico può decidere di modificare la rotazione in base alle caratteristiche del quadro clinico (ad esempio, minor rotazione iniziale nei piedi torti atipici).
Questo tutore, che spesso spaventa i genitori perché temono che il proprio figlio si possa sentire legato, è in realtà generalmente ben tollerato dai piccoli pazienti (le famiglie raccontano di qualche giorno necessario per abituarsi); le ginocchia vengono lasciate libere e i piccolini sono in grado di sgambettare.

 

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I tentativi di utilizzare tutori alternativi (ad esempio docce gamba-piede o docce coscia-piede, che tengono in posizione solo un arto) hanno portato risultati inferiori ai tutori che raccordano i due arti con una barra.

Quanto deve essere tenuto il tutore?
Una volta raggiunta la correzione del piede, il ruolo dei genitori diventa essenziale per evitare che il piede ritorni a deformarsi e l’uso del tutore è l’unico vero sistema che ha dimostrato di ridurre questo rischio.
Lo schema di utilizzo del tutore prevede generalmente:

  • un periodo iniziale di 3 mesi in cui il tutore va mantenuto 23 ore al giorno: è concessa un’ora di libertà senza tutore, a piedi nudi;
  • si passa quindi a 18-19 ore di utilizzo, con 5-6 ore di libertà (liberamente distribuite). Da quel momento in poi viene consigliata una riduzione progressiva del tutore, diminuendo l’utilizzo di un’ora ogni mese fino ad arrivare a un massimo di 12 ore di libertà;
  • da quel momento in poi, le ore di utilizzo richieste rimangono stabili, circa 12 ore, da far corrispondere ai periodi in cui il piccolo dorme (di notte e nei riposini diurni).

Nel momento in cui il piccolo è pronto per camminare, il tutore verrà utilizzato solamente quando dorme; in altri termini, il tutore non rappresenta un ostacolo al suo sviluppo motorio.
Nei vari controlli successivi, con la crescita dei piedi, le scarpe del tutore verranno sostituite con scarpe di taglia adeguata e la barra verrà allargata (si consiglia una larghezza pari alla larghezza delle spalle).
Poiché il rischio di recidiva è elevato nei primi anni di crescita e poi diminuisce, generalmente si consiglia di prolungare l’utilizzo del tutore notturno almeno fino ai 4 anni e mezzo.

Risultati e recidive
Il metodo Ponseti porta alla correzione dei piedi torti idiopatici nella quasi totalità dei casi (le percentuali di correzione sono superiori al 90-95%). In altri termini, alla fine della fase correttiva (gessi e tenotomia), le varie componenti della deformità appaiono corrette.
Un piede trattato correttamente consente generalmente una vita normale, la pratica di attività sportiva e l’utilizzo di scarpe normali (non ortopediche).

 

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Esistono però casi in cui la deformità risponde peggio al trattamento. Questo vale per rari casi di piedi torti idiopatici in cui la deformità nasconde qualche malformazione tra le ossa che ne impedisce la correzione progressiva, ma vale soprattutto per i piedi torti secondari, e in particolare per i casi associati a rigidità generale, come avviene nelle artrogriposi, in cui le percentuali di correzione si riducono.
Una volta ottenuta la correzione, devono poi essere effettuati frequenti controlli nel corso della crescita perché esiste un rischio significativo di recidiva. Le cause principali di recidiva del piede torto sono: il mancato utilizzo del tutore in abduzione, la mancata correzione completa ottenuta col trattamento, lo squilibrio della funzione muscolare e lo squilibrio di crescita delle strutture.
La recidiva può riguardare qualsiasi elemento del piede torto (equinismo, varismo, cavismo, ecc.) e deve essere riconosciuta e trattata tempestivamente. Il provvedimento più frequentemente utilizzato per le forme di recidiva nei primi anni di vita è il recasting, ossia si ripete una seconda volta il ciclo di manipolazioni e gessi correttivi; se al termine di questo ciclo di gessi la deformità è corretta si può utilizzare il tutore. Qualora, invece, persista una limitazione della dorsiflessione (recidiva dell’equinismo), si esegue nuovamente la tenotomia percutanea del tendine di Achille.

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Nei bambini più grandi, generalmente oltre i 3 anni/3 anni e mezzo, i casi di recidiva delle deformità vengono generalmente trattati con una serie di gessi correttivi per recuperare l’allineamento corretto, cui viene associata un’altra procedura per evitare che la deformità tenda nuovamente a recidivare, la trasposizione del muscolo tibiale anteriore all’esterno. Per questa fascia di età, rimandiamo alla scheda dedicata alle recidive del piede torto.

Il metodo funzionale

Il metodo funzionale, introdotto dopo un’esperienza diretta in Francia dei medici ortopedici del Meyer, è stato per anni il trattamento di prima scelta del piede torto congenito presso questo ospedale. Il suo obiettivo principale è cercare di limitare l’ipotrofia muscolare, la limitazione articolare e il numero di interventi chirurgici richiesti, principi non molto diversi dal metodo Ponseti.
In questo metodo, però, il lavoro del fisioterapista ha un ruolo centrale ed è richiesta una buona organizzazione del servizio sanitario locale per seguire il paziente, nonché un’adeguata esperienza degli operatori. L’impegno per le famiglie risulta piuttosto significativo, rispetto alla semplice gestione di un gesso cambiato con cadenza settimanale come previsto nel metodo Ponseti.
I lavori pubblicati in letteratura che confrontano i risultati ottenuti da questa metodica e dal metodo Ponseti sono molto pochi e non univoci: alcuni centri con elevata esperienza nei due trattamenti riportano risultati sovrapponibili con le due metodiche, mentre altri riportano migliori risultati con il metodo Ponseti. Viene comunque sottolineata dagli autori la maggiore riproducibilità del metodo Ponseti rispetto alla necessità (nel metodo funzionale) di centri specializzati e di un maggior impegno per le famiglie.
Attualmente nel nostro centro il metodo funzionale viene proposto solo su richiesta espressa delle famiglie. Di seguito ne riportiamo i principi di base.
Il metodo, messo a punto dal professor Seringe e dalla fisioterapista Regine Chedeville riprendendo la metodica di Masse, e utilizzato all’ospedale Saint Vincent de Paul di Parigi, associa all’interno della stessa seduta la kinesiterapia (con mobilizzazioni correttive e stimolazioni muscolari) e l’uso di mezzi di contenzione (cerotti, placchette e docce di posizione).

Fasi del trattamento funzionale

  • Periodo della riduzione della deformità (0-2 mesi). Mobilizzazioni passive eseguite a giorni alterni; correzione mantenuta con placchetta e doccia femoro-podalica per gran parte del giorno.Periodo di pre-verticalizzazione (3-10 mesi). Mobilizzazioni attive e passive per facilitare automatismi della stazione eretta; placchetta e doccia corta il giorno e lunga la notte.
    • 5° mese. Rx in proiezione latero-laterale con il piede in massima flessione dorsale, eseguita per porre l’indicazione chirurgica (se il calcagno appare parallelo all’astragalo): in tal caso si esegue tenotomia percutanea del tendine di Achille in analogia a quanto effettuato nel metodo Ponseti.
    • Periodo della marcia. La marcia inizia con la placchetta fino a completa correzione; applicazione di docce durante il sonno.

    Le mobilizzazioni
    Vengono eseguite mobilizzazioni passive e stiramenti delle strutture muscolari e capsulo-legamentose. Le manovre devono essere eseguite con gradualità, evitando di forzare eccessivamente la correzione e senza provocare dolore.

    • Derotazione del blocco calcaneo-pedidio. Si stabilizza la gamba rispetto al ginocchio e si porta il piede all’esterno mantenendolo allineato con la mano (fig. 10a).
    • Decoaptazione dello scafoide. Porta a un riallineamento dell’arco interno; si stabilizza il retropiede e l’astragalo; si scivola con il pollice fin sullo scafoide, tirando in basso e leggermente verso l’esterno (fig. 10b)
    • Stiramento-allungamento del tendine di Achille. Mira alla correzione dell’equinismo; si fissa il mesopiede e si tira il calcagno verso il basso (fig. 10c).
    • Stiramento plica mediotarsica. Corregge l’adduzione dell’articolazione mediotarsica e dell’eventuale solco di retrazione fibrosa (fig. 10d).

    piede-torto-congenito-10I mezzi di contenzione
    Le placchette sono delle solette sagomate in diverse misure per adattarsi alla lunghezza del piede, costruite in materiale rigido termoformabile; poste precisamente in corrispondenza del tallone, devono sporgere anteriormente di circa 1 centimetro.
    Durante il trattamento vengono usati quattro diversi tipi di placchette (fig. 11a-b): placchetta piana ipercorretta, cioè reniforme con il bordo interno convesso, per facilitare la correzione dell’avampiede, generalmente usata nei primi mesi del trattamento; placchetta piana a bordi rettilinei che viene impiegata quando l’avampiede è ormai allineato rispetto al retropiede, ma permane l’equinismo; placchetta curva che può essere sia ipercorretta che a bordi rettilinei, e viene utilizzata nella seconda fase del trattamento, quando il ROM in dorsiflessione raggiunge la posizione neutra ed è necessario proseguire lo stiramento del tendine d’Achille proteggendo il meso-piede. La placchetta viene fissata al piede tramite 9 cerotti da taping di lunghezze e dimensioni diverse (fig. 11c).piede-torto-congenito-11

  • La pelle viene protetta da un cerotto poroso anallergico che copre la parte posteriore del piede, il dorso e la sua faccia mediale (a seconda delle necessità del paziente le zone possono essere di più). Il colorito del piede deve rimanere normale dall’inizio alla fine del montaggio (fig. 12).piede-torto-congenito-12
  • La posizione del piede in rapporto alla gamba viene corretta inserendo l’arto in una doccia modellata sul bambino mentre indossa la placchetta. La doccia non è mai ipercorretta e viene rimodellata nel tempo per seguire la crescita del bambino e i progressi ottenuti.
    La prima doccia è generalmente solo accettante la deformità.
    La doccia è costruita in x-lite, un materiale termoplastico, e fissata con una benda elastica (fig. 13).
  • piede-torto-congenito-13
  • Nella prima fase del trattamento la doccia è lunga, coscia-gamba-piede e viene indossata 22 ore al giorno. Via via che il bambino si fa più grande, viene progressivamente liberato dalle contenzioni. Se nella fase della verticalizzazione il piede non è sufficientemente corretto viene proposto l’uso della placchetta e della doccia lunga per le ore del sonno notturno e il mantenimento della sola placchetta di giorno. Se il piede pur non essendo perfettamente corretto si presenta in asse rispetto alla gamba la doccia notturna può essere corta. Se invece sia clinicamente che alle RX il calcagno si presenta sufficientemente sceso la placchetta non viene più utilizzata e viene mantenuta la sola doccia notturna, corta se il piede è in asse rispetto alla gamba, lunga se la marcia è a punte in dentro o c’è intrarotazione tibiale.
  • piede-torto-congenito-14
  • La chirurgia: la liberazione postero-medialeL’intervento chirurgico (detto anche intervento di Codivilla), che fino a qualche anno fa veniva considerato in tutto il mondo la prima scelta terapeutica, attualmente viene considerato solo nei casi di fallimento di trattamenti più conservativi, come il metodo Ponseti. Pertanto, vengono sottoposti a interventi estensivi solo quei casi in cui la rigidità dei tessuti (ad esempio, nelle artrogriposi) o aspetti malformativi impediscono alle manipolazioni e ai gessi di correggere progressivamente i rapporti articolari tra le varie ossa del piede.
    La procedura prevede una doppia incisione cutanea, una posteriormente alla caviglia e una nella parte interna del piede; in qualche caso è però sufficiente eseguire solamente l’incisione posteriore.
    Nel corso dell’intervento viene effettuata una liberazione e allungamento di tutte le strutture che ostacolano la correzione del piede (tendine di Achille, legamenti, capsule articolari, nodi fibrosi, ecc.) fino a raggiungere la correzione della deformità.
    Si tratta di una procedura impegnativa, specialmente se effettuata in casi in cui è presente una fibrosi dei tessuti (rigidità, aderenze) come nelle artrogriposi, che deve essere eseguita da mani esperte.
    L’intervento chirurgico ha il vantaggio di consentire di correggere rapidamente una deformità che non ha risposto a trattamenti ripetuti e prolungati (Ponseti, fisioterapia). Purtroppo, però, espone al rischio di problematiche a distanza, in particolare: aumentata incidenza di rigidità, debolezza, artrosi e dolore in età adolescenziale e adulta.

    http://www.meyer.it/cura-e-assistenza/attivita-sanitarie/88-patologie/1632-piede-torto-congenito



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