14 Nov Il tempo per i bambini: giorni, mesi, settimane
Ci siamo mai chiesti davvero come percepiscano il tempo i bambini?
Di solito i ricordi che riusciamo a conservare in età adulta appartengono ai 5/6 anni di età e degli anni precedenti (di solito mai prima dei 4) si ha memoria solo di episodi singoli, di luoghi, di situazioni precise. Quindi, da adulti, è praticamente impossibile, per i più, ricordare come sentivamo scorrere il tempo in età prescolare.
Per i bambini è più facile percepire le scansioni temporali naturali, piuttosto che quelle “artificiali” o antropiche, quelle che abbiamo creato per l’organizzazione sociale. Quindi è facile percepire lo scorrere dei momenti di giornata anche da piccolissimi, ma non comprendere la durata di un’ora. E’ praticamente impossibile che un bambino di pochi anni possa aver chiaro il concetto di settimana e anche il mese è difficile da inquadrare, mentre le stagioni sono già più chiare.
Cosa comporta questo? Che spesso ci innervosiamo inutilmente, cercando di spiegare ai nostri figli che oggi è giovedì e non si può rimanere al parco perché c’è la lezione di psicomotricità, o che è impossibile restare a cena dai nonni, perché domani è martedì e voi dovete essere al lavoro presto.
Giovedì? Martedì? Settimana? Mese? Ma cosa vuol dire?
La divisione del tempo in settimane è quella che maggiormente scandisce la nostra vita di adulti (giorni feriali e fine settimana sono l’alternanza che più ci condiziona l’umore e le energie) e nello stesso tempo quella più ostica per i bambini.
Nulla in natura ha un ciclo che dura una settimana. La settimana è un tempo artificiale.
Pensate alla divisione dei nove mesi della gestazione in settimane? Quanto ci avete messo per dimenticare come si conta il tempo in settimane dopo l’ultima gravidanza? Probabilmente un mese scarso e già 20esima o 28esima settimana non vi dicevano più nulla di rilevante.
I bambini iniziano a percepire lo scorrere del tempo secondo la divisione in sette giorni solo con l’ingresso nella scuola primaria e neanche troppo facilmente nei primi due anni di scuola elementare.
Anche un bambino abituato fin da piccolo ad andare all’asilo o alla scuola dell’infanzia, riuscirà solo a percepire che ogni tanto ci sono delle giornate in cui si sta con mamma e papà e non si va a scuola, ma senza capire bene la cadenza dei fine settimana. Fino a una certa età, ogni sabato e ogni domenica sono una specie di sorpresa! Cosa bellissima, se vogliamo, ma non utile a spiegare a un bambino che può dormire tranquillamente un po’ di più, senza bisogno di saltare sul letto di mamma e papà alle 6, tanto c’è tutto il giorno per stare insieme.
Anche la giornata è facilmente e naturalmente scandita con l’orario dei pasti e con la luce (giorno e sera), ma il senso di quanto possa durare un’ora o dieci minuti arriva piuttosto tardi. Addirittura serve una certa dimestichezza con l’orologio per capire davvero cosa intende papà quando dice trafelato che tra 10 minuti bisogna essere pronti, altrimenti non arriveremo mai a scuola in tempo. O quando mamma avverte che tra 5 minuti si mangia e quindi è meglio mettere via le costruzioni o spegnere la tv.
Insomma, noi genitori finiamo per prenderci tante arrabbiature e tanto nervosismo inutile, quando proviamo ad applicare ai nostri figli le categorie di tempo adulte.
Un bambino di tre anni, per esempio, non ha idea di cosa voglia dire “al mare andiamo domenica, non oggi” oppure “sbrigati siamo in ritardo, tra un quarto d’ora dobbiamo essere dal pediatra”. Una spiegazione del genere finirà per generare un capriccio e una ferma resistenza.
Soprattutto perché a questa assoluta mancanza di comprensione per le categorie temporali, si associa la percezione del solo tempo presente. Qui e ora. Senza un dopo e un prima. Quello che un bambino sta facendo in un determinato momento è tutto il suo universo temporale: pensare che dopo dovrà fare altro, è già di per sé un concetto strano.
Non per niente nei primi due anni della scuola elementare, i programmi affrontano la comprensione dei giorni della settimana e della sequenza dei mesi: concetti che devono essere proprio memorizzati e appresi. Così come si lavora molto sulla “linea del tempo”, per comprendere passato e futuro, prima e dopo, ieri, oggi e domani.
Una esatta percezione del tempo “adulto” arriva non prima degli 8 o 9 anni.
E allora? Come si fa a superare questo gap? Si può rispettare totalmente la naturalità del tempo dei bambini, ma mi chiedo in quale mondo ideale ciò sia veramente possibile. Bisognerebbe non lavorare, non avere incombenze di alcun genere e annientare completamente le esigenze dei genitori.
Oppure si trova un modo per rendere comprensibile anche ai bambini il “nostro” tempo. Senza però pretendere da loro l’elaborazione di concetti che non possono inquadrare.
Allora è inutile dire a un quattrenne che tra un’ora dovrete essere di qua o di là. Meglio dire per tempo che, finita quella certa attività, sarà necessario uscire di casa: “Puoi completare altre due file di macchinine, ma poi dobbiamo uscire per andare dal dottore”.
Meglio identificare i giorni della settimana con qualcosa che sappiamo si farà quel giorno: “Andremo a casa dei nonni dopo essere stati a nuoto, non ora”.
Insomma, meglio scandire il tempo con dei fatti. In questo modo un bambino, anche piccolo, saprà quando aspettarsi un certo evento, mettendolo in relazione con un altro.
Questo spesso richiede una certa capacità di previsione dei tempi necessari ai nostri figli per svolgere una certa attività. E non è detto che la previsione sarà sempre rispettata. A quel punto non resta che collaborare con loro per cercare di sveltire qualche operazione, ma di sicuro è inutile tirare fuori concetti come “ritardo”, “ora di…”, o ancora peggio “alle cinque”, “dopodomani”.
Certo, è più difficile e meno naturale per noi adulti “calendarizzati” e “pianificati”, ma è di sicuro un metodo per arrabbiarci di meno. E quanto vale l’eliminazione di qualche fonte di stress?