13 Mag Il dolore nel parto: con o senza analgesia?
“Non si permette alla donna moderna di fare esperienza cosciente delle sue sensazioni fisiche e della loro eco emotiva, derubandola così della ricompensa data dalla consapevolezza della forza del suo parto” (1930)
Dott. Grantly Dick Read
COMPRENDERE IL DOLORE NEL PARTO
Il dolore fisiologico del parto varia da donna a donna e di parto in parto, tuttavia il dolore del parto è mediamente indicato come più intenso nella nostra epoca e alle nostre latitudini, forse perché la medicalizzazione del parto non facilita la comprensione dei suoi meccanismi. Anzi, la routine ospedaliera tende a far sentire “malate” le partorienti, innalzando così una serie di barriere psicologiche che, di fatto, amplificano il dolore (v. anche il capitolo “La fisiologia del parto naturale” in questo sito).
Il dolore fisiologico solitamente non è un dolore insopportabile, come si vorrebbe a volte far credere. Non lo è fintanto che si rispetta il corpo della donna in travaglio e i suoi ritmi, fintanto che il dolore non è reso intollerabile mediante l’uso di ossitocina sintetica, manovra di Kristeller, immobilità forzata, episiotomia, forcipe, ventosa, separazione immediata dal neonato.
Il dolore fisiologico (ossia senza interventi chimici o meccanici) è un dolore a intermittenza, con delle pause che permettono di ricaricarsi e che saranno presenti, anche se sempre più brevi, fino al momento della nascita.
L’esperienza del parto non è paragonabile a nessun’altra: in poche ore la donna si trasforma radicalmente e diventa madre, pronta a dedicarsi interamente e altruisticamente alla nuova creatura, che è completamente dipendente da lei. Perciò, per una madre in travaglio, la prova che sta cercando di superare ha un significato profondo e sa che presto sarà ricompensata perché avrà tra le braccia il proprio cucciolo e non sentirà più alcun dolore, bensì soltanto una grande gioia. Sapere che il dolore protegge anche il piccolo con gli ormoni che lo aiutano ad affrontare la difficile discesa nel canale, contribuisce a elevare la propria soglia del dolore.
Inoltre, spesso, il dolore costringe la mamma a cambiare posizione, e a volte sono proprio questi continui movimenti a facilitare la discesa del bambino, anche quando non si trova in posizione ottimale.
UN DOLORE MOLTO PARTICOLARE
Rispetto a ogni altro tipo di dolore, quello provato nel parto ha due caratteristiche che lo rendono unico:
• È alternato a scariche di endorfine (ormoni del piacere) che regalano pause riposanti tra una contrazione e l’altra (a volte al punto da addormentarsi).
• È associato ad un evento positivo, la nascita del figlio, e non ad un evento patologico.
Non appena il bambino esce, il dolore cessa ed è rimosso dalla memoria; resta invece il ricordo positivo dell’evento: un meccanismo che è vero per quasi tutte le donne, e fin qui ha permesso la continuazione della specie.
In vari sensi, sia fisico che psicologico, il dolore del parto a volte può essere associato al piacere del parto. Alcune donne che hanno vissuto un parto fisiologico nell’intimità riferiscono di stati di estasi o di sensazioni di tipo orgasmico.
A questo proposito consigliamo la visione del film “La nascita estatica” che può essere richiesto (per la Svizzera) scrivendo un mail a info@nascerebene.ch e mediante il pagamento (spese postali comprese) di frs. 25.- (fr. 20.- per membri) al nostro conto postale CCP 65-97772-4 / IBAN: CH59 0900 0000 6509 7772 4.
Consigliamo pure la lettura del libro di Michel Odent: “Le funzioni degli orgasmi” (Terranuova edizioni, 2010) che illustra i meccanismi endocrinologici comuni al parto e anche ad altre funzioni dell’apparato sessuale.
Altre donne possono testimoniare della piacevole sensazione fisica di “potenza” e “liberazione” nella fase attiva delle spinte. Ogni donna che ha vissuto positivamente l’esperienza del parto, ne trae un beneficio psicologico perché aumenta la propria autostima, assai preziosa nelle prime fasi dell’accudimento del neonato.
In definitiva il dolore è utile perché svolge funzioni essenziali nel travaglio fisiologico: stimola il cervello a rilasciare gli ormoni indispensabili allo svolgimento regolare e armonioso del travaglio e ad attivare l’istinto di autoconservazione e l’istinto materno; sollecita il movimento fisico con conseguente protezione dei tessuti e delle ossa del bacino; permette di sperimentare il massimo potenziale delle proprie forze; stimola l’energia sessuale; prepara ad accogliere il bambino e a instaurare una buona relazione.
I MECCANISMI DEL DOLORE
Il dolore del travaglio è, nella sua prima fase, attribuibile alle fibre muscolari del collo dell’utero che, aprendosi, si stirano; e secondariamente è prodotto dalla contrazione della parete uterina.
Nella seconda fase del parto, il dolore riguarda soprattutto lo stiramento e le possibili lacerazioni a carico del canale del parto, del perineo e della pelle della vulva.
Il dolore può portare con sé altri fastidiosi sintomi, come sudorazione, respirazione accelerata e superficiale, ristagno doloroso dell’acido lattico.
Sono dolori muscolari che molte donne hanno già provato nella propria vita, ma forse non con la stessa intensità. Tuttavia la percezione del dolore nel parto è amplificata dalla portata simbolica e psicologica dell’evento, dall’ansia e dalla paura naturalmente legate al parto come rito di passaggio, in cui vita e morte si incontrano e si confrontano.
L’apertura dei muscoli pelvici è possibile e agevole in condizioni di rilassatezza e di sicurezza, quando non ci si sente né minacciati, né osservati, esattamente come nelle altre situazioni in cui si aprono i muscoli perineali, ossia quando si svuota l’intestino e quando si fa l’amore. È facile immaginare quanto sarebbe difficile svolgere queste due “funzioni” in un ambiente senza intimità, in cui la “performance” è costantemente monitorata (così come spesso avviene in una sala parto ospedaliera).
Per un parto sereno, per potersi rilassare, abbandonare, aprire e lasciarsi attraversare, il corpo e la mente della donna richiedono dunque un’atmosfera di totale intimità, calore e affetto, analoga a quella che favorisce un rapporto sessuale. Ciò vale per le luci, la comodità e la libertà di muoversi e di esprimersi senza essere giudicate. Per questo conta soprattutto l’atteggiamento di appoggio, comprensione e amore di chi è presente. Di conseguenza anche il dolore del parto sarà più facilmente accettato, e non subito.
Inoltre, la giusta atmosfera psicologica permette di godere appieno delle pause tra una contrazione e l’altra, e quindi di sperimentare non solo la componente dolorosa del parto, bensì anche quella piacevole, sensuale ed appagante. La sopravvivenza della specie non dipende soltanto dalla nascita di un bambino sano, ma da una nascita la meno traumatica possibile, che sia istintivamente gratificante per la donna, in modo da incoraggiarla a riprodurre ancora. Perciò l’obiettivo principale nell’assistenza al travaglio non può essere solo la sicurezza, bensì anche il rispetto della fisiologia.
IL RITMO DEL DOLORE SCANDISCE QUELLO DELLA NASCITA
La caratteristica unica e particolare del dolore del parto è il suo ritmo intermittente. Le prime contrazioni si percepiscono già in gravidanza, in modo occasionale e normalmente senza dolore: in questo modo sia il corpo della donna che quello del bambino si familiarizzano con questa sensazione. Nei prodromi del travaglio, che possono durare ore o giorni, le contrazioni si avvicendano senza regolarità e diventano progressivamente più intense. Il corpo si prepara al travaglio vero e proprio e dà le avvisaglie alla madre e al feto affinché si tengano pronti.
A mano a mano che l’attività contrattile s’intensifica, si percepisce un ritmo più regolare tra contrazione e distensione. Nelle fasi iniziali del travaglio la contrazione ha una durata molto minore della distensione, poi gradualmente gli intervalli tendono ad abbreviarsi. Ma dopo il dolore subentra sempre una pausa. Quando le pause sono ancora abbastanza lunghe (fino ad alcuni minuti), il rilascio di endorfine consente di recuperare forze tra una contrazione e l’altra e a volte persino di addormentarsi. Inoltre le endorfine si concentrano anche nel liquido amniotico proteggendo il bambino in utero dal dolore, anche in travagli lunghi ed estenuanti.
Grazie all’alternanza fra fasi attive e dolorose e fasi di rilassamento e gratificazione, il bambino e i suoi polmoni sentono la differenza fra compressione ed espansione del torace, preparandosi così al passaggio nel canale del parto, alla respirazione e alla pulizia dei polmoni.
Gli ormoni coinvolti nelle fasi alterne del parto sono diversi.
Come già accennato, l’ossitocina, l’ormone che provoca le contrazioni uterine, è il medesimo ormone che agisce nell’orgasmo (scatenato, appunto, da contrazioni involontarie dell’utero). Nel parto, come nel rapporto sessuale, sono inoltre coinvolte anche la prolattina e le endorfine, sostanze responsabili, insieme all’ossitocina, delle sensazioni piacevoli, del sentimento amoroso e del rilassamento globale dell’organismo che normalmente seguono l’orgasmo.
Questi ormoni sono previsti nel parto non solo per stimolare le contrazioni, ma anche per innescare “visceralmente” il sentimento di tenerezza e gratitudine nel momento dell’incontro con il bambino. Il momento immediatamente successivo al parto dovrebbe in altre parole assomigliare a quello successivo a un rapporto sessuale: sfogata l’energia, subentrano l’appagamento e il piacevole rilassamento, che accompagnano l’incontro con il figlio.
Gli ormoni “dell’attività”, cortisolo e adrenalina, la cui funzione fisiologica è di accelerare il battito cardiaco e stimolare la sintesi degli zuccheri, sono anch’essi coinvolti nel parto che, essendo un processo faticoso, richiede tutta l’efficienza di cui l’organismo dispone. Questi ormoni servono però anche a rendere la madre attiva e vigile rispetto agli stimoli esterni. In questo modo la natura la aiuta a difendere la prole dai pericoli, assicurandone la sopravvivenza in un momento di grande vulnerabilità.
L’equilibrio e il corretto dosaggio tra gli “ormoni del piacere” e “gli ormoni dell’attività” sono dunque fondamentali per il corretto funzionamento dell’alternanza nelle fasi del parto e nella sua progressione. Una reazione di paura e insicurezza della partoriente può spezzare questo delicato equilibrio ormonale perché provoca una più elevata produzione di adrenalina e di cortisolo e inibisce la produzione di ossitocina e di endorfine, prolungando eccessivamente il travaglio. Questo può accadere ad esempio con la presenza di persone ansiose, di visite e monitoraggi superflui, di comunicazioni preoccupanti sull’andamento o la durata del parto, ecc.
LA PAURA DEL DOLORE ALIMENTA IL DOLORE
Partorire è doloroso per tutte le donne, ma -come detto- alcune sembrano soffrire più di altre. In realtà è accertato che nella percezione del dolore stesso, entrano in gioco componenti psicologiche tipiche di quel determinato individuo in quel determinato momento (la paura e l’aspettativa del dolore, il ricordo di altri dolori, la motivazione a sopportare il dolore…) e componenti sociali, ossia come quel determinato dolore è visto in quella determinata società (se è apprezzato o meno lo sforzo di gestire il dolore, se viene previsto o meno un supporto empatico nel momento del dolore…).
Sul dolore del parto, si proiettano in altre parole molte concezioni e condizionamenti culturali, che possono alterare la sensibilità, la soglia e il grado di sopportazione.
Tanto più la donna avrà paura di quel dolore, tanto più il corpo reagirà a quel dolore. Infatti, la paura crea una tensione muscolare eccessiva e un’eccessiva reattività del sistema nervoso, che amplifica il dolore fisiologico del parto, rendendolo lancinante e insopportabile. Il dolore così provato alimenta nuova paura, ed il circolo vizioso continua con una reazione a catena, facendo dell’esperienza del parto una “cattiva esperienza”. Tuttavia sarebbe strano che la natura avesse previsto di associare alla nascita un’esperienza così traumatica perché potrebbe inibire nella madre il desiderio di ripetere un altro parto e quindi di assicurare la continuazione della specie.
Perché dunque per alcune donne il parto può rivelarsi tanto doloroso? La risposta sta nella conformazione del nostro cervello, come già ampiamente spiegato nella descrizione della fisiologia del parto su questo sito.
Gli umani hanno eccezionalmente sviluppato la corteccia cerebrale (neocorteccia), deputata al linguaggio, ai pensieri astratti e complessi… in altre parole a ciò che ci differenzia e ci rende unici nel mondo animale. Tuttavia, il parto rimane un processo involontario, una funzione governata dal nostro cervello più antico (quello primitivo, comune e tutti i mammiferi), da cui dipendono i processi vegetativi e altre funzioni involontarie.
L’attivarsi della neocorteccia con conversazioni, pensieri, preoccupazioni o eccessive sollecitazioni, come reazione a un ambiente che impedisce di lasciarsi andare, di “sprofondare” in se stessi (in uno “stato alterato della mente” secondo la definizione di Michel Odent), interferisce con l’attività regolata dal cervello più arcaico. Perciò, lo ripetiamo ancora una volta, tanto più sono stimolate le parti più “recenti” del nostro cervello, tanto più sarà disturbato il processo del parto, che rischia di diventare più lungo e più doloroso.
Il surplus di dolore rispetto agli altri mammiferi potrebbe dunque essere causato dal surplus di “intelligenza” che caratterizza l’essere umano, ma anche da modalità di svolgimento del parto che contrastano l’istinto
PREVENIRE E LIMITARE IL DOLORE
Per limitare il dolore occorre creare sin dalla gravidanza le condizioni per “disattivare” il più possibile la neocorteccia della donna al momento opportuno e facilitare così il parto.
Alcuni consigli:
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Predisporre un ambiente il più possibile intimo. Se non sono previsti rischi particolari, è più facile preservare l’intimità con un a parto a domicilio o in una casa del parto (purtroppo in Ticino non ce ne sono) o perlomeno facendo a casa una buona parte del travaglio prima di recarsi all’ospedale. Questo permette di evitare interferenze, di usare il proprio bagno, mangiare e bere, lamentarsi senza inibizioni (anche con suoni sgradevoli), muoversi liberamente senza subire monitoraggi e visite ginecologiche di routine. Comunque anche quando si partorisce all’ospedale per motivi particolari (podalici, gemellari, prematuri, ecc.) o per qualsiasi altra ragione, è importante richiedere il massimo rispetto della propria intimità.
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Assicurarsi di avere accanto per tutto il tempo (oltre al proprio compagno, se desiderato) soprattutto unapersona competente (levatrice e/o doula), di cui ci fidiamo ciecamente, che possa fare da tramite con il mondo esterno. Deve saper rimanere in disparte (in silenzio a sferruzzare…precisa ironicamente il dott. Michel Odent), ma anche saper aiutare con amore nel momento del bisogno, senza spaventarsi del dolore che la donna esprime. Questo può farla sentire più tranquilla e quindi più rilassata, condizione che rende le contrazioni meno dolorose.
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Convincersi che il dolore del parto non viene per nuocere, non minaccia la propria salute, ma è un fenomeno passeggero che da sempre le donne hanno saputo superare.
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Contenere il dolore del parto con gli strumenti che la natura mette a disposizione (v. sotto “Analgesia naturale”). Non sono farmaci e non distorcono l’esperienza nel suo complesso, tuttavia possono aiutare nel tenere sotto controllo il dolore.
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Valorizzare il parto, in tutte le sue componenti: come esperienza di coppia, come un momento di grande solidarietà, ma anche di sensualità, e come fondamento della nuova famiglia. Individualmente, può costituire una prova importante, il cui superamento aumenta la propria autostima.
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Comprendere l’esperienza del bambino, non immune a sua volta dal dolore e dallo stress, e quindi concepire il parto come lavoro di collaborazione in armonia con lui, e prepararsi in tutti i modi possibili ad accoglierlo con rispetto e senza violenza.
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Ascoltare il proprio corpo è la regola fondamentale. Non è necessario imparare particolari strategie se non quella di assecondare ciò che il corpo chiede e provare tutto ciò che viene in mente; non tutti sono uguali e ciò che può dare sollievo ad una donna può essere terribilmente fastidioso per un’altra, e viceversa.
ANALGESIA NATURALE
Esistono anche diversi metodi “naturali” per cercare di destreggiarsi durante il travaglio: la levatrice e/o la doula che ha seguito la donna durante la gravidanza sa consigliare i metodi più appropriati per lei.
L’acqua
Concedersi un bagno caldo o tiepido in travaglio è un grande aiuto. L’acqua calda rilassa i muscoli, favorisce il rilascio di endorfine, alleggerisce il peso del corpo.
La vasca dovrebbe essere comoda per cambiare posizione, secondo come ci si sente, e poter entrare e uscire agevolmente. Dovrebbe poter permettere al partner di massaggiare la schiena, se ciò facesse piacere.
Se la vasca non è disponibile, è anche possibile noleggiarla (in Ticino, a nostra conoscenza, solo presso: www.partocongioia.com), oppure si può usare la doccia. Il getto caldo contro i lombi è piacevole e, se energico, agisce esattamente come un massaggio.
Il calore
Il calore ha il potere di rilassare i muscoli; è noto che fasciare e scaldare i muscoli irrigiditi e doloranti a causa di un crampo è utile. Il dolore delle contrazioni è simile a quello delle contratture, quindi si trae beneficio dall’applicazione di compresse calde. Si possono usare asciugamani riscaldati, borse dell’acqua calda o sacchetti di riso riscaldati. Possono essere applicati sulla schiena, oppure nella zona del basso ventre (mentre sulla schiena si può fare un massaggio con le mani calde), ovviamente la temperatura non deve essere eccessiva per non scottare la pelle.
Il massaggio
Il tocco può essere un alleato potentissimo contro il dolore, ma soprattutto un grande conforto. Sentire di avere accanto qualcuno pronto ad aiutare è molto importante. Abbiamo visto che durante il travaglio è controproducente parlare perché si stimolerebbe la neocorteccia: invece il linguaggio non-verbale del tatto comunica subito alla donna che non è sola.
Per sciogliere le tensioni e favorire il rilascio di endorfine il tocco piacevole è molto utile: alcune donne gradiscono un massaggio defatigante alle gambe e ai piedi, altre invece un massaggio alle spalle, collo e scapole.
Un altro ottimo massaggio è quello energico a natiche e cosce (“scuotere le mele”), per sciogliere le tensioni accumulate. La sensualità di questo massaggio può aiutare a sbloccare una situazione nella quale la rigidità muscolare localizzata nel perineo potrebbe avere rallentato il travaglio.
Infine, per controbilanciare la pressione esercitata sulla zona lombare, è utile massaggiare (ma può bastare anche una semplice pressione) la schiena, all’altezza delle fossette, durante la contrazione. Il massaggio può essere esercitato sia con i palmi sia con le dita, ed è consigliabile che le mani siano calde.
Il respiro
Respirare in modo regolare, ampliando la durata dell’espirazione, aiuta a superare la contrazione senza lasciarsi sopraffare. Inoltre, una buona ossigenazione può aiutare a contrastare l’accumulo di acido lattico, che è doloroso, specie nei lunghi travagli. La respirazione può essere coadiuvata efficacemente dall’uso della voce.
Inoltre, se durante la gravidanza si sono esercitati i muscoli perineali con regolarità, si è probabilmente automatizzata la capacità di rilassarli in espirazione. Questa capacità può aiutare moltissimo il parto, sveltendo la fase espulsiva, e limitando il dolore dovuto alle lacerazioni (i muscoli rilassati si aprono con minor trauma rispetto a muscoli rigidi).
Il movimento
Il dolore del parto ha una funzione di guida. Quando si percepisce un forte dolore, si prova automaticamente a cambiare posizione e a scuotersi: è istintivo. Le posizioni verticali e i micromovimenti del bacino assecondano il passaggio del bambino e facilitano l’allargamento dei diametri pelvici. Rimanere sdraiate, viceversa, può ostacolare il parto, perché in questa posizione il bacino, e in particolare la sua parete posteriore, non può muoversi poiché costretta contro la superficie del letto.
Ecco in particolare cosa può servire:
• Camminare: agevola la discesa del bambino, perché tende a “scrollarlo” verso il basso. Infatti, anche per far partire il travaglio in caso di gravidanza prolungata oltre il termine, si consigliano lunghe passeggiate: la testa del bambino è spinta verso il basso e la conseguente frizione meccanica contro le pareti dell’utero favorisce il rilascio delle prostaglandine, ormoni precursori dell’ossitocina. Il movimento migliore, a travaglio iniziato, potrebbe essere oscillare con il bacino, ruotarlo per aprire al bimbo la sua strada verso il basso.
• Assumere posizioni diverse, anche asimmetriche: alzarsi, spostarsi, accovacciarsi, mettersi in ginocchio o in posizione semi ginocchiata, permette al bacino della donna di trasformare leggermente la sua forma e, forse, di trovare una posizione meno dolorosa. Inoltre permette ai muscoli del pavimento pelvico di rilassarsi e di allungarsi così il bambino può trarne vantaggio. Il passaggio all’interno del bacino, per il bambino comporta una serie articolata di movimenti. Nei passaggi più angusti, egli si fa strada con una tecnica istintiva: ripiega la testa sul collo ed esegue una serie di rotazioni che gli consentono di incuneare la testa e poi far passare le spalle per sfruttare al meglio il pochissimo spazio disponibile.
• Rimanere in posizioni verticali: in questo modo il bambino può utilizzare la forza di gravità, e non deve lottare contro di essa spingendosi verso l’alto, come invece sarebbe costretto a fare se la donna rimanesse sdraiata.
Inoltre, muovendosi liberamente piuttosto che rimanendo a letto, probabilmente il dolore le apparirà meno forte e soprattutto non avrà la sensazione di esserne in balia.
La voce
Per una delle molte misteriose corrispondenze presenti nel corpo umano, la gola aperta e in generale la rilassatezza dei muscoli del collo, delle spalle, della mascella e della bocca, sono correlate con la rilassatezza del pavimento pelvico.
A volte alla donna è richiesta una respirazione forzata con molta apnea, però questa è in contraddizione con la natura del parto, che tende a “buttare fuori” e non a trattenere. Espirare con la bocca aperta, abbiamo visto, è di grande aiuto, ma questa emissione può essere aiutata anche dalla voce. Che sia un grugnito, un canto o un’imprecazione, non ha importanza, purché sia spontaneo, e a gola aperta (quindi il suono prodotto sarà piuttosto basso, rauco e non acuto).
Inoltre (come possiamo osservare nei nostri piccini) gridare e sfogarsi, purché non alimenti l’eccitazione e si limiti a lasciarla andare, ha una valenza antidolorifica in sé. Viceversa, il trattenere, serrare le mascelle, non dare sfogo al dolore, sentirsi giudicate male, può dare una sensazione di costrizione, d’inadeguatezza e impotenza che provoca frustrazione ed amplifica la percezione del dolore.
La visualizzazione e la musica
Visualizzare il percorso del bambino dentro di sé, il proprio corpo che si apre, un fiore che sboccia… tutto questo può aiutare la dilatazione, anche se può sembrare strano.
Un altro modo per calmare il dolore e rimanere nell’auspicato stato di disattivazione della neocorteccia, può essere l’ascolto di una musica familiare, rilassante, che faciliti la concentrazione su ciò che sta accadendo dentro il proprio corpo, che aiuti a entrare in contatto col bambino che sta nascendo.
Una visione positiva
Per affrontare in serenità il parto, occorre ricordarsi che il corpo femminile è programmato biologicamente per questo e non vi è nulla di sbagliato o di inadeguato in esso, che possa alterare una sua normale funzione vitale. È consigliabile intraprendere in gravidanza un percorso d’informazione e di auto-conoscenza, per dissipare dubbi e paure infondate.
Il parto rappresenta sicuramente un momento che richiede tutto l’impegno e la concentrazione perché comporta dolore e potenziale pericolo. Il dolore è associato, antropologicamente, ai riti di passaggio e d’iniziazione; riti che le società moderne non prevedono, e che pure hanno una propria funzione psicologica e sociale. Basti pensare ad esempio all’inizio del ciclo sessuale femminile, con i dolori mestruali, oppure alla lacerazione dell’imene e la sua portata simbolica nella vita sessuale della ragazza che diventa donna.
ANALGESIA EPIDURALE (o peridurale) E ANALGESIA SPINALE
Qual è la differenza tra spinale, epidurale o la combinazione di entrambe?
L’analgesia spinale e quella epidurale hanno gli stessi effetti, ossia, anestetizzano una regione piuttosto vasta del corpo. In entrambi i casi, si anestetizzano i nervi che escono dal midollo spinale.
Nell’analgesia epidurale, o peridurale per il travaglio di parto, si fissa nella zona lombare un piccolo catetere (che entra nello spazio epidurale davanti al midollo spinale) attraverso il quale si possono somministrare ripetutamente dosi di farmaco, così da mantenere l’anestesia per quanto tempo sia necessario. Durante il travaglio solitamente si usa la combinazione di un anestetico locale e di un oppiaceo (derivato della morfina) in concentrazioni molto basse, tali da avere un effetto antalgico, ma senza provocare un blocco motorio completo. Sempre più sovente si parla di PCA o PCEA, acronimo che sta per Patient Controlled Epidural Analgesia, ossia il metodo che permette alla paziente di dosare l’anestetico. Rimangono aperti alcuni interrogativi sull’effetto che gli oppiacei potrebbero avere sul bambino.
Nell’analgesia spinale il farmaco è invece iniettato direttamente nello spazio dove è presente il liquido spinale, quindi l’effetto è quasi immediato. La spinale è solitamente la tecnica preferita nel caso in cui si debba procedere a un cesareo e la paziente non è in travaglio.
L’anestesia spinale e quella peridurale si possono combinare (l’iniezione del farmaco è seguita dall’inserimento del catetere nello spazio peridurale). L’effetto dell’anestetico inizia quasi immediatamente grazie alla spinale, ed è prolungato nel tempo grazie al catetere peridurale.
L’analgesia epidurale e/o spinale purtroppo interferisce con il processo della nascita fisiologica e di conseguenza il parto non può più essere considerato naturale perché sono alterati i meccanismi ormonali. Siamo ben consapevoli che dicendo questo corriamo il rischio di essere scambiati per fanatici del dolore a tutti i costi, e di non voler lasciare la scelta alle donne. Ma non è così.
La scelta della donna dev’essere libera e va comunque sempre sostenuta, appunto perché ogni situazione è diversa e particolare. L’importante è però che si offra alla donna, oltre all’analgesia epidurale, anche la possibilità di scegliere un travaglio spontaneo senza interferenze (presenza discreta di una levatrice e/o di una doula di fiducia, possibilità di muoversi liberamente, rispetto dei suoi ritmi, possibilità di usare una vasca con acqua calda), seguito da un parto davvero basato sul rispetto della fisiologia (v. in questo sito il capitolo dedicato al parto naturale e alla fisiologia). Se però, nonostante tutto questo, per quella donna il dolore è troppo forte o il travaglio è troppo estenuante, allora ben venga per lei la possibilità di richiedere l’analgesia epidurale.
Possibili effetti collaterali fisici:
In ospedale spesso si propone l’anestesia epidurale sin dall’inizio del travaglio, senza però chiarire nei particolari che potrebbe anche avere degli effetti collaterali (v. elenco sotto) e senza accennare al rischio di innescare degli interventi a cascata (v. in questo sito il capitolo dedicato al parto medicalizzato). Ad esempio è noto che i travagli con epidurale hanno maggiori probabilità di finire in parto cesareo o parto operativo (parto con forcipe o ventosa). A volte la donna si trova così a dover prendere una decisione senza possedere le giuste informazioni su alcune possibili conseguenze della sua scelta. Elenchiamo quelle citate in modo sparso nella letteratura medica.
Per la donna
• ipotensione: improvviso calo di pressione con conseguente flebo per aumentare il livello dei liquidi ed evitare altri cali di pressione (ciò limita la possibilità di movimento);
• ad alcune donne causa febbre che può portare problemi anche al bambino;
• l’epidurale non sempre funziona o a volte le donne non ne apprezzano gli effetti;
• se è somministrata troppo presto, può rallentare la dilatazione e la discesa del bambino nel canale del parto;
• riduzione della forza contrattile uterina (temporanea e non);
• spesso, sia perché la madre non sente bene le spinte, sia per la posizione obbligata sul lettino, la fase espulsiva dura più a lungo;
• lombalgie conseguenti alla puntura lombare;
• mal di testa, che può durare da alcune ore ad alcuni giorni, e richiede riposo a letto con eventuale terapia farmacologica;
• reazioni allergiche ai farmaci utilizzati;
• infezioni in sede locale o estesa al sistema nervoso (queste ultime sono molto gravi ma fortunatamente molto rare).
Per il bambino:
• bradicardia fetale (rallentamento della frequenza cardiaca fetale);
• ipotensione;
• difficoltà respiratorie e a succhiare dal seno;
• venendo a mancare gli ormoni naturali che aiuterebbero mamma e bambino a superare le difficoltà del parto tramite la loro comunicazione profonda, è come se il bambino a un certo punto perdesse il contatto emotivo con la madre, che non sentendo più dolore, non soffre con lui e non lo aiuta nella discesa cambiando posizione e inondandolo con i suoi ormoni protettivi.
Possibili effetti collaterali psicologici:
• difficoltà di sviluppare per intero il processo psicofisico della procreazione; di accettare la separazione dal figlio “fantasticato” per accogliere il figlio reale che si manifesta durante il travaglio. Questa accettazione è facilitata dalla partecipazione attiva della madre con le spinte per l’espulsione.
• difficoltà nel meccanismo dell’attaccamento istintivo (imprinting e bonding), che avviene fra madre e bambino grazie a un picco nella scarica degli “ormoni dell’amore” in entrambi, immediatamente dopo la nascita (v. capitolo “Imprinting” in questo sito in cui si spiega fra l’altro che in esperimenti fatti con altri mammiferi le madri non riconoscono e non si occupano dei cuccioli nati con parto cesareo o con analgesia epidurale).
Le sostanze analgesiche possono dunque inibire le competenze di madre e bambino rendendo la donna passiva: in un certo senso subisce la nascita anziché viverla completamente.
Purtroppo a volte l’anestesia epidurale sembra diventata uno strumento di marketing ostetrico che fa leva sulle insicurezze e le paure delle gestanti non sempre bene informate. Un comportamento etico e professionale richiede invece di non sottacere i possibili effetti collaterali anche nella qualità della relazione fra la madre e il suo piccolo e di mettere in primo piano gli aspetti psiconeuroendocrinologici della nascita. Molte forme depressive del post-parto, la diminuzione della percentuale di madri che allattano e le difficoltà nelle relazioni genitori-figli durante la prima infanzia, potrebbero anche essere in parte correlate ai trattamenti analgesici nel corso del travaglio.
Il dolore -lo ribadiamo ancora una volta- ha dunque un importante ruolo nell’esperienza del parto; disconoscerlo o ritenerlo nocivo o superfluo, potrebbe invece interferire nelle dinamiche umane.
Comunque ogni procedura comporta dei rischi, è pertanto fondamentale che la donna possa scegliere valutandone vantaggi e svantaggi, grazie ad un’informazione corretta, obiettiva e completa, basata su evidenze scientifiche.
PER NASCERE BENE
Nel parto non medicalizzato (quindi senza anestesia epidurale), lo abbiamo visto, il bambino, come la donna, attraversa una prova che comporta dolore, paura, lavoro attivo e fatica. Il passaggio attraverso il bacino avviene sì, grazie alle spinte attive dell’utero, tuttavia anche il bambino, guidato dall’istinto, deve compiere costantemente i movimenti che gli permettono di incunearsi e procedere lungo il canale del parto. Percepisce la pressione dello stretto passaggio, ed è esposto alla tempesta ormonale materna: gli arrivano le endorfine rilasciate nel sangue materno tra una contrazione e l’altra per godere di una pausa rilassante insieme a lei. Analogamente subisce l’esposizione all’adrenalina e al cortisolo e ai loro effetti stimolanti. Come per la madre, l’alternanza fra “ormoni dell’attività” e “ormoni del piacere”, gli permette di sopportare lo stress della nascita e di arrivare all’incontro con la madre sveglio e reattivo, beneficiando però anche del piacevole effetto degli “ormoni dell’amore” (ossitocina e prolattina) e in particolare delle endorfine che (così come avviene con gli altri oppiacei) contribuiscono a creare uno stato di dipendenza reciproca.
Nel parto naturale, le esperienze della madre e del bambino sono dunque esattamente simmetriche. Nel parto in epidurale invece l’effetto anestetico beneficia alla madre, ma non è di aiuto per il bambino. Non sussistono più, in questo caso, l’alternanza contrazione-pausa e il relativo picco di endorfine nel sangue materno e fetale.
Inoltre per nascere bene occorre ricordare che il bambino proviene da un mondo di luci soffuse e rumori attenuati: sarebbe crudele esporlo immediatamente a luci dirette e rumori assordanti. Proviene dalla naturale simbiosi con la madre e dopo la nascita ha bisogno dell’immediato contatto con il ventre materno per percepire, mediante il battito del cuore, l’odore materno e l’abbraccio, la continuità con l’accogliente mondo che ha appena lasciato. Per il neonato il primo respiro è un grande stress, ma ritardando il taglio del cordone, si evita di privarlo istantaneamente della fonte che gli ha garantito l’ossigeno durante la gravidanza e il parto.
In conclusione, l’esperienza del dolore può essere formativa e necessaria, ma solo nella misura in cui è abbinata all’esperienza di una presenza amorevole. Se la donna si sente accolta, amata, capita, e accarezzata nell’esperienza del dolore, la percezione del dolore stesso potrà colorirsi di sentimenti di gratitudine e di tenerezza.
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