02 Mar Algodistrofia: cos’è?
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L’algodistrofia è una malattia rara multisintomatica e multisistemica le cui cause sono per lo più sconosciute. La principale manifestazione della malattia è del tutto aspecifica: dolore bruciante associato ad edema. I casi di algodistrofia riguardano in maniera pressochè esclusiva il tratto mano-spalla o i piedi. Spesso questa condizione spesso segue un evento traumatico.
La malattia è nota da oltre 100 anni, la prima descrizione risale addirittura al 1864. Oggi oltre alla definizione di Algodistrofia nel mondo anglosassone viene chiamata con il nome, più specifico, di sindrome complessa da dolore regionale (CRPS) distinta in tipo 1 e tipo 2.
Stando ai dati dei quali si è attualmente in possesso sembra che le donne siano affette dalla sindrome 4 volte più agli uomini e l’età media di insorgenza sia stabilita prevalentemente tra i 30 e i 50 anni, mentre è inusuale tra bambini e adolescenti. Nei pochi casi in cui colpisce i bambini, in genere, ha un decorso benigno e non lascia alcun segno. Se i traumi sono tra le cause scatenanti più frequenti è stato anche evidenziato che esiste un legame con altri eventi come infarto miocardico (20 per cento dei pazienti), emiplegia (12 – 20 per cento), interventi in artroscopia e, in minor misura, protrusioni discali, problematiche cerebrovascolari, neoplasie e terapie con farmaci anticonvulsanti e antitubercolari. Inoltre solo il 5 per cento circa di coloro che subiscono un trauma neurologico sviluppa la malattia.
Un utile approfondimento sulla patologia è rappresentato da una pubblicazione in lingua italiana a cura delDottor. Varenna
Sintomi ed evoluzione
L’Algodistrofia, termine che oggi si ritiene più corretto, è una sindrome dolorosa che si manifesta spesso, ma non sempre, dopo un trauma ad un nervo, ad un tessuto molle o plesso neurale, ma il modo più o meno severo in cui evolve la malattia non è proporzionale alla gravità dell’evento traumatico. Sono molti i casi in letteratura medica in cui la sindrome si manifesta spontaneamente senza che sia possibile ricondurla ad alcun evento traumatico nella parte del corpo in cui il dolore compare. Anche se il sintomo principale è il dolore questo può essere accompagnato anche da altre manifestazioni, come un cambiamento della temperatura nella parte interessata, una diversa sensibilità, una sudorazione anormale e la presenza di edema. Il quadro clinico è dunque si manifesta in modo estremamente vario da soggetto a soggetto e anche secondo la regione colpita. Spesso la zona in cui si manifesta il dolore si mostra, all’esame radiografico, colpita da osteoporosi. Dolore, cambiamenti della sensibilità e osteoporosi localizzata sono sintomi aspecifici che possono essere confusi con altre malattie – come l’artrite reumatoide e l’artrite psoriasica – tanto da rendere spesso necessaria la diagnosi differenziale. In alcuni rari casi da questa osteoporosi tipica dell’algodistrofia possono generarsi della fratture.
Visti i sintomi localizzati della malattia e il fatto che spesso questa succede ad un evento traumatico la maggior parte dei casi viene rilevata dal medico ortopedico
Il meccanismo del dolore
È stato ipotizzato che l’eccitamento delle fibre sensorie causi un rilasciamento di neuropeptidi alla periferia della parte terminale di queste fibre. I neuropeptidi possono provocare vasodilatazione, aumentare la permeabilità vascolare e scatenare nelle fibre sensitive un fenomeno chiamato “infiammazione neurogenica”. Il sistema nervoso centrale riceve un aumento di stimoli dai nocicettori periferici che ne altera il meccanismo. Questi dati inducono a classificare l’algodistrofia come un disordine infiammatorio regionale esagerato.
La diagnosi
Diagnosticare la malattia, vista anche la scarsa conoscenza e la non specificità dei sintomi non è facile. Il primo sintomo a cui si guarda è proprio la presenza del dolore regionale e poi si valutano gli altri possibili sintomi che possono comparire in associazione. L’essersi precedentemente verificato un evento traumatico può aiutare ad arrivare alla diagnosi. Altri segni che indirizzano verso la diagnosi di algodistrofia possono essere un cambiamento della pelle, che diviene pallida, secca, sottile e atrofica.
Alcuni segni caratteristici della malattia possono talvolta essere rilevati attraverso la radiografia, soprattutto se ad essere interessata dal dolore è un’estremità: l’esame radiografico mostrerà spesso una osteoporosi a chiazze, limitata alla sola parte infiammata, e uno scheletro per il resto in ordine. Quando però il problema è più circoscritto è più difficile evidenziare anomalie e sarà probabilmente necessaria la risonanza magnetica o la scintigrafia trifasica. Nonostante la possibilità di utilizzare questi strumenti oggi la diagnosi di algodistrofia è prevalentemente clinica.
La scintigrafia è sicuramente l’esame diagnostico più idoneo e che offre maggiori garanzie. Ha il vantaggio di cogliere in maniera precoce i sintomi rispetto all’esame radiografico rilevando anche variazioni ossee minori anche se va detto che il quadro scintigrafico varia a seconda dei differenti stadi della malattia.
Un tempo si riteneva, in base ai casi clinici riscontrati, che la malattia colpisse soprattutto le donne in gravidanza ma successivamente l’osservazione di altri casi cinici ha smentito questo legame nonostante sia stato confermato che l’algodistrofia colpisce più spesso quando ci sia stato un aumento ponderale, proprio come avviene nel periodo della gravidanza.
Nella sindrome si possono individuare tre stadi differenti:
Lo stadio 1 è caratterizzato da presenza di dolore severo e localizzato e può essere accompagnato da sudorazione localizzata, crampi muscolari e rigidità articolare. All’inizio della sindrome la cute appare calda e arrossata, magra e disidratata e lentamente può diventare cianotica, ipotermica con brividi (cambiamenti trofici). Il paziente può avere iperidrosi, specialmente se il trauma è localizzato nell’arto superiore. Variazioni ambientali possono provocare cambi nella temperatura della cute, i quali non sono sempre e solamente determinati da ciò.
Lo stadio 2 è caratterizzato da dolore e da una sudorazione più diffusa. Le unghie del paziente tendono a crescere più rapidamente nella fase acuta (stadio 1), mentre nel passaggio da uno stadio all’altro diventano più lucide e affette da strie bianche. I disordini sono dovuti in parte alla percezione del dolore e alla ipereccitabilità del sistema nervoso simpatico che, di controverso, ha un effetto inibitorio sulla contrazione muscolare. Questo porta ad una rigidità articolare e ad una perdita di tono muscolare che, se prolungati e persistenti per un lungo periodo di tempo, possono presentare svantaggi funzionali dovuti ad “atrofia da disuso”. Qualche paziente ha riportato alcuni episodi di severa distonia e stress psicologico causati da crampi spontanei. Questo lascia il paziente in una completa incapacità funzionale e lo induce ad assumere un “holding pattern”, che é un modo di rappresentarsi dell’area afflitta con scopi un auto protezione.
I sintomi normalmente iniziano con un trauma specifico e lentamente si diffondono prendendo il sopravvento in un intero quadrante del corpo. Studi radiografici in pazienti affetti da algodistrofia hanno dimostrato un aumento del riassorbimento osseo, osteoporosi o osteopenia (atrofia di Sudek). Questo é il quadro che emerge alla fine del secondo stadio.
Lo stadio 3 della sindrome è caratterizzato da una severa atrofia tissutale con perdita della massa muscolare che può diventare irreversibile. La durata di questa sindrome è proporzionale al grado di severità della funzione deficitaria che può protrarsi e in settimane e in mesi e in anni. Più la sindrome permane, più risulterà irreversibile.
Le terapie
Il primo passo indispensabile al quale devono mirare le terapie è interrompere il circolo del dolore,purtroppo però antidolorifici ed antinfiammatori, così come anche le terapie a base di cortisone, hanno sui sintomi dell’algodistrofia un effetto modesto e transitorio.
La fisioterapia non si è dimostrata in grado di ridurre di molto il dolore anche se questa viene comunque considerata importante per evitare ulteriori danni dovuti al non utilizzo o cattivo utilizzo della parte del corpo colpita. In presenza disintomatologia dolorosa acuta praticare fisioterapia non è possibile, occorre prima diminuire il dolore, solo dopo eseguire un corretto esercizio fisioterapico diviene importante.
Lo stato psichico del paziente sembrerebbe giocare un ruolo importante nell’evoluzione della malattia. Alcuni studi hanno infatti dimostrato l’esistenza di una correlazione tra la malattia e i sintomi tipici di stati depressivi – che possono essere conseguenti anche al trauma iniziale che ha innescato la malattia stessa – tanto che in alcuni casi si sono avuti risultati incoraggianti anche inserendo nella terapia degli anti depressivi.
Altri studi dimostrano come l’insorgenza della malattia fosse legata in una percentuale consistente dei casi (circa il 42 per cento del campione) ad eventi stressanti.
Attualmente ci sono studi farmacologici che riguardano due diverse molecole.
Una è il clodronato. Il farmaco, del gruppo dei difosfonati, già all’inizio degli anni ’90 fu provato in una donna affetta fin dalla nascita dalla sindrome di Van Der Hoeve, malattia caratterizzata tra l’altro da osteoporosi. Alcuni anni dopo la menopausa comparve anche l’algodistrofia a carico della caviglia sinistra. Nella paziente fu fatto un trattamento con clodronato di sodio in infusione al dosaggio di 300mg in 250 ml di soluzione fisiologica al giorno per 7 giorni consecutivi. Alla fine del ciclo la paziente presentava un netto miglioramento dei sintomi con una regressione quasi completa del dolore.
Nel 2000 fu poi pubblicato uno studio sul Journal of Rheumatology uno studio italiano condotto all’Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano in cui si mostravano i risultati di efficacia e sicurezza del clodronato su 32 pazienti che vennero valutati al basale, dopo 40, 90 e 180 giorno dal trattamento. Il trattamento durò 10 giorni consecutivi con una somministrazione di 300 mg al giorno. I pazienti trattati con il farmaco (15 su 32) mostrarono fin da subito un miglioramento, e questo proseguì moderatamente anche nelle valutazioni successive a 90 e 180 giorni. A tre mesi dal trattamento tutti i pazienti mostravano un significativo miglioramento dei sintomi o erano asintomatici e senza che si fossero verificati eventi avversi correlati al trattamento.
Vi sono inoltre altri bisfosfonati – come ad esempio il Pamigronato – che stando ad alcuni studi potrebbero avere il loro profilo di efficacia nel trattare il dolore.
Una seconda molecola, di studio più recente, fa parte della categoria dei bifosfonati; l’ acido neridronico.
La molecola, registrata come farmaco orfano, è attualmente in uso per l’osteogenesi imperfetta e per la malattia di Paget ma sono stati effettuati studi clinici, incluso uno di terza fase condotto in diversi centri italiani, che indicano come questa molecola potrebbe avere efficacia anche per l’Algodistrofia. Le indagini farmacologiche e cliniche hanno dimostrato il rimarchevole effetto inibitorio del disodio clodronato sul riassorbimento osseo – una delle manifestazione dell’Algodistrofia – inibendo l´attività osteoclastica, in tutte le condizioni sperimentali e cliniche nelle quali questa risulti esageratamente aumentata.