24 Giu Il reflusso gastroesofageo nei neonati: mito da sfatare?
Sempre più spesso mi arrivano all’orecchio (e sempre più anche in consultazione) casi di lattanti con reflusso gastroesofageo. Di fronte a quello che sembra essere un vero “fenomeno emergente” sono tante le soluzioni che i genitori mi raccontano di adottare, spesso più dannose che proficue come l’uso di farmaci, la sospensione dell’allattamento al seno o comunque un precoce divezzamento.
L’esperienza che ho potuto maturare negli anni di lavoro a contatto con madri e lattanti e in ospedale pediatrico nel servizio di gastroenterologia mi ha fatto vedere chiaramente quanto spesso lo smarrimento ben comprensibile di genitori di fronte a un neonato che vomita spesso e in grandi quantità, che piange in concomitanza col nutrirsi, si incontri con la confusione di pratiche pediatriche del tutto discutibili, come la veloce diagnosi di “reflusso gastroesofageo” e la prescrizione di sciroppi non del tutto innocui.
Iniziamo allora a fare un po’ di chiarezza vedendo prima come si manifesta e si definisce il reflusso gastroesofageo e delineando poi un adeguato modo di affrontare la questione.
Il reflusso gastro-esofageo è la risalita nell’esofago del materiale acido proveniente dallo stomaco e si manifesta con rigurgiti frequenti di saliva, latte e muco dalla bocca. A livello meccanico è dovuto al fatto che la valvola che separa l’esofago dallo stomaco non ha ancora un completo funzionamento (fatto del tutto fisiologico nei neonati). Il neonato rigurgita quando ha succhiato il latte, è irrequieto, piange.
La North American Society for Pediatric Gastroenterology and Nutrition pubblicando le linee guida per la valutazione e il trattamento del reflusso gastroesofageo nei lattanti e nei bambini ha distinto:
– il reflusso gastro-esofageo (RGE), definito come il passaggio del contenuto gastrico nell’esofago, con evidenza di vomito ricorrente o rigurgiti.
– la malattia da reflusso gastro-esofageo (MRGE), definita come sintomatologia e complicazioni da reflusso, con diversi tipi di manifestazioni cliniche associate a vomito ricorrente, quali esofagite (infiammazione dell’esofago), apnea, broncospasmo, perdita di peso. In particolare la perdita di peso è il fattore discriminante tra reflusso e malattia da reflusso (per perdita di peso non si intende né rallentamento né stasi della crescita che nei bambini allattati al seno possono essere del tutto normali e frequenti).
Per quanto dalla mia esperienza entrambe le condizioni hanno un’origine psicosomatica, vorrei soffermarmi però sulla prima condizione, la più diffusa.
Sempre seguendo le linee guide internazionali (purtroppo ignorate da molti pediatri!) di fronte ad un bambino che vomita spesso, se non vi è perdita di peso, ecco cosa fare (o meglio cosa non fare!) :
Non c’è alcun motivo di prescrivere un esame ecografico, si rischia così infatti di incorrere in molti falsi positivi in quanto la maggior parte dei neonati nei primi mesi hanno la valvola dell’esofago non del tutto formata (non per questo però vomitano). C’è quindi da capire cosa fa sì che alcuni vomitano e altri no.
Non vi sono da somministrare farmaci.
Non c’è assolutamente da sospendere l’allattamento al seno.
C’è piuttosto da confortare la madre che presto passerà.
Questo è quanto dicono le linee guida internazionali.
Perché allora non dire semplicemente “Signora suo figlio rigurgita” , fatto noto fin dai tempi antichi il rigurgito del lattante, invece di dire “Signora suo figlio ha il reflusso gastroesofageo” , che tuona come una condanna ad una malattia?! E sappiamo quanto le madri, soprattutto al primo figlio siano vulnerabili a simili possibilità. Ancora una volta si punta l’accento su ciò che non va, sulla malattia.
La realtà è che le madri si trovano spesso di fronte ad una diagnosi, all’uso di sciroppi (come il maloox) e a suggerimenti sbagliati come allungare lo spazio tra una poppata e l’altra, l’uso del ciuccio o ancor peggio la sospensione dell’allattamento materno a favore di quello artificiale. Molte madri finiscono per credere che il loro latte non sia ben digerito dal bambino.
Niente di più falso! Il reflusso non ha niente a che vedere con la digestione! Tanto meno con una non digeribilità del latte materno!!
Veniamo ora a capire meglio perché certi neonati vomitano spesso e in gran quantità, perché ironia a parte, il fatto è che questi bambini oltre a vomitare presentano una forte irrequietezza, non dormono bene e spesso piangono.
Intanto possiamo dire che l’acidità dello stomaco aumenta se aumenta lo stress, e lo stress del neonato è associato a quello della madre, oppure al dover attendere troppo a lungo prima di essere allattato, oppure ad essere troppo a lungo distante dalla madre.
Come altre volte ho detto, tutti, e ancor più i neonati parlano attraverso il corpo. In particolare il periodo neonatale è quello più sensibile a questo tipo di linguaggio. Se c’è tensione, se la madre è stanca, nervosa, non sufficientemente sostenuta, il bambino ne risente immediatamente con coliche, irrequietezza e pianto. Quest’ultimo, il pianto, in particolare esprime tutto il malessere presente, ma anche passato. Attraverso il pianto il bambino può esprimere (“elaborare” quasi direi) traumi emotivi che riguardano la gravidanza o la nascita.
È importante che la madre sia ben disposta ad accogliere il pianto del bambino ovviamente non lasciando piangere il bambino da solo né pensando che il pianto sia normale piuttosto tenendo dolcemente il figlio tra le braccia e pensando, anzi sentendo, che lui sta esprimendo il proprio dolore.
Credo che ogni madre faccia, o almeno voglia fare sempre il meglio per il proprio figlio, ma nella nostra società capita spesso che le madri siano sole o non adeguatamente sostenute.
Spesso il reflusso si presenta in un bambino che ha avuto un parto traumatico, in questi casi ho potuto notare che è assolutamente efficace qualche seduta da un buon osteopata neonatale (per parto traumatico non necessariamente significa medicalizzato, è sufficiente che la fase espulsiva sia stata lunga).
Pensiamo che il reflusso è inesistente nelle società tradizionali dove le madri stanno a stretto contatto corporeo col bambino e lo allattano con alta frequenza (in merito si veda la bellissima guida sull’allattamento materno di Carlos Gonzales).
Il reflusso qui da noi si associa per la maggior parte dei casi ha un modo errato di allattare.
A causa dello scarso sostegno sociale molte madri arrivano ad allattare e non hanno mai assistito a un modo fisiologico di allattare (ovvero praticamente col bambino sempre attaccato!). A ciò si aggiunge un contesto culturale dove la vicinanza corporea e la piena dedizione al bambino sono viste come “vizi” e “cattive abitudini da perdere”, dove le madri sono spinte (o comunque costrette per il fatto che sono sole) dopo il parto a riprendere presto le attività di prima, ad uscire, a pensare alla casa…..ma non è così che funzionano le cose e i nostri piccoli lo sanno bene.
Molte madri mi dicono che allattano a richiesta ma in realtà spesso osservo che non è così.
Se il bambino ha poppato da poco e si lamenta, vengono cercate alternative come distrazioni e dondolamenti, io dico che invece si dovrebbe di nuovo proporre il seno. Invece si lascia spesso trascorrere del tempo e quando poi si dà il seno, il bambino lo rifiuta, e noi ci convinciamo ancora di più che non è il seno quello che vuole, in un circolo vizioso che si autorinforza!
I neonati finiscono spesso col rifiutare il seno o col lamentarsi nell’attaccarsi se hanno dovuto attendere per averlo.
L’accudimento del bambino richiede la nostra totale dedizione soprattutto i primi tempi, ecco perché ad esempio l’uso della fascia porta bebè permette anche alle madri “indaffarate” di oggi di stare col proprio figlio mentre fanno anche qualche piccola mansione di casa.
Ecco allora cosa può essere utile :
Sollevare lo stato emotivo della madre, far sì che possa dedicarsi pienamente al figlio, senza distrazione alcuna per almeno i primi tre mesi (parenti e amici invece che cullare il neonato dovrebbero lasciarlo con la madre e occuparsi loro delle faccende domestiche!)
Allattare a richiesta (a richiesta vuol dire che il bambino i primi tre mesi si attacca anche ogni dieci minuti, ovvero fa col seno quello che purtroppo a noi sembra normale fare col ciuccio, succhiare e succhiare anche non necessariamente mangiando!). Se passa troppo tempo tra una poppata e l’altra, il bambino giunge al seno affamato e succhia con voracità, facilitando così il vomito. Il pianto è un segnalo tardivo, il bambino non deve arrivare a piangere per attaccarsi al seno.
Non usare ciucci e biberon (ogni volta che un bambino succhia il ciuccio quello sarebbe dovuto essere a livello fisiologico un momento in cui avere il seno in bocca!)
Tenere il neonato a stretto contatto corporeo per la quasi totalità del tempo almeno i primi tre mesi.
Prediligere la posizione verticale del bambino tipica dei bambini portati in braccio, piuttosto che quella sdraiata nella culla.
Fare qualche seduta da un osteopata.
…..E non dimenticarsi mai che ogni madre ha proprio tutto quello che serve al suo bambino e solo lei sa come farlo stare bene!
Ornella Piccini